venerdì 28 febbraio 2014

Metti un po’ di sale nell’elettrico

Quando parliamo di sale, non vogliamo intendere qualche esotico o sofisticato composto chimico. Semplicemente ci riferiamo al cloruro di sodio, il comunissimo sale da cucina. Andiamo quindi “al dunque” per capire  se con un po’ di sale si riesce veramente a rendere più “appetibile” la mobilità elettrica. Parlando di auto elettrica, ci viene ripetuto continuamente che la  tecnologia delle batterie agli ioni di litio (Li-ion) è quella che oggi fornisce il miglior compromesso possibile tra densità di energia immagazzinabile, costi, autonomia e resistenza ai cicli di carica-scarica.
La maggioranza delle persone è molto probabilmente convinta che questa sia addirittura l'unica tecnologia disponibile e che lo sarà fino a quando i ricercatori non avranno trovato qualcosa di meglio, e chissà quando ciò avverrà. In realtà l'alternatica c'è già, si chiama "batteria al sale" (denominata ZEBRA, acronimo di Zero Emission Battery Research Activity) ed è già stata adottata da più di un costruttore di vetture elettriche. Sono tre i costruttori al mondo che si stanno cimentando con questa tecnologia, il colosso americano General Electric, la giapponese NGK che adotta una variante che prevede l’uso di sodio-zolfo, e la svizzera FZ SoNick, partecipata dall’italiana FIAMM, nota per i suoi accumulatori d’avviamento. Secondo i costruttori di batterie “al sale”, tenendo conto di tutti i componenti del pacco-batteria, elettronica compresa, l'energia specifica di una ZEBRA consente a parità di peso un'autonomia del 10-20% superiore ad una agli ioni di litio. FZ SoNick dichiara che le sue batterie sopportano agevolmente oltre 1.500 cicli di carica-scarica (equivalenti a circa 10 anni di normale impiego), mentre quelle al litio hanno un limite intrinseco proprio nella durata, che non dipende tanto dai cicli, quanto da un tempo fisso non legato all'utilizzo. General Electric dal canto suo ha comunicato che la sua batteria al sale, chiamata Durathon, è data per una durata di vent'anni. Il surriscaldamento che per le batterie Li-ion è un fattore piuttosto critico, risulta pressoché inesistente nelle  ZEBRA poiché queste funzionano ad una temperatura ottimale elevata predeterminata, che non viene mai superata. In ogni caso, il suo isolamento fa si che, al tatto, l'involucro esterno d'acciaio che ospita le celle non superi indicativamente i 30 C°.
Se poi diamo uno sguardo alla geopolitica “energetica” vediamo subito come, per l’approvvigionamento del Litio, l’industria sia per lo più dipendente dalla Bolivia e dalla Cina, con tutti i rischi che un “oligopolio” di questo tipo è capace di creare in termini di prezzi, andamenti economico-finanziari e produttivi. La produzione delle ZEBRA non è invece legata alle forniture di un materiale strategico come il litio. Per la loro realizzazione servono del semplice cloruro di sodio e del nickel, due sostanze che sono disponibili in abbondanza ovunque. Per quanto riguarda lo smaltimento, a fine vita delle batterie, quelle litio si possono rigenerare e comunque il metallo che contengono è recuperabile e perfettamente riutilizzabile per costruire altre batterie. Ancora meno problemi dovrebbe dare lo smaltimento di quelle al sale, che è ovviamente del tutto biodegradabile, pur considerando che l'altra sostanza presente in quantità rilevanti, il nickel, è nocivo alla salute come lo è il litio, e altrettanto vale per il rame, presente però in quantità bassissime. Sembra inoltre che la tecnologia ZEBRA sia competitiva anche in termini di Euro per kWh, si parla di un 40% in meno rispetto alle migliori batterie Europee al litio. L’approccio del mercato è ancora prudente. Servirebbe forse il coraggio di sposare il “gusto del sale” per disporre da subito di un'altra opportunità tecnologica per la mobilità elettrica di oggi e domani.
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